Prima di parlarvi dei miti sull’inserimento all’asilo nido voglio fare una premessa. Ho lavorato per anni come educatrice di asilo nido e della scuola dell’infanzia e credo che il lavoro dell’educatore, soprattutto quando si tratta di avere a che fare con bambini molto piccoli, sia davvero importantissimo.
Questo articolo non si propone di criticare il funzionamento dell’asilo nido ma ha lo scopo di aprire a delle riflessioni su alcuni punti che, negli ultimi anni, mi hanno fatto dapprima “prudere il naso”, poi mi hanno spinta ad osservare molto, a riflettere e a documentarmi bene (grazie neuroscienze!), ascoltando anche le esperienze di colleghe e colleghi più esperti di me.
A proposito di asilo nido e miti inerenti, in merito all’inserimento ce ne sono molti.
Ne ho scelti 3 da approfondire in questo articolo.
1) Meno piange durante l’inserimento meglio è
Il primo mito riguarda la convinzione che meno il bambino pianga durante l’inserimento e più stia bene.
Non è necessariamente così.
Bowlby prima e la Ainsworth poi hanno parlato degli stili di attaccamento, distinguendoli in sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ansioso-ambivalente e disorganizzato.
In pratica a livello biologico i neonati sono “programmati” per assicurarsi la sopravvivenza fisica ed emotiva ricercando la vicinanza con la madre e/o con chi si prende cura di loro.
E’ una competenza innata, istintiva, che fa parte del nostro DNA di esseri umani dall’inizio dei tempi.
Le modalità con cui un bambino ricerca la mamma, secondo gli studiosi sopra citati possono essere raggruppati nelle 4 macro-categorie scritte sopra.
Senza dilungarmi troppo (in caso in bibliografia c’è del materiale per approfondire), ora ci basta sapere che, in particolare, un bambino che ha sviluppato quello che viene definito uno stile di attaccamento sicuro – quindi che vive una buona relazione con la madre, che considera come fonte di protezione e che vive come una base sicura – è NORMALE che provi stress a causa della separazione con la madre ed è NORMALE quindi che pianga per ricercarne la vicinanza.
Anche perché viene separato dalla mamma senza il suo volere.
È sano che lo faccia.
Quando la madre ritorna, un bambino con una relazione sicura con la madre viene confortato facilmente .
Se un bimbo durante l’inserimento al nido non piange quando la mamma va via, se fa come se non ci fosse quando torna, contrariamente a quello che è luogo comune pensare potrebbe (sottolineo: potrebbe) NON essere un buon segnale, se insieme ad altri elementi.
Riconoscere queste dinamiche può servire ad indirizzare meglio il genitore durante l’inserimento, non ovviamente allo scopo di lasciar piangere il bambino “che tanto passa” ma allo scopo di dare un supporto efficace sia al bambino che alla mamma e al papà nel momento dell’inserimento.
2) Meno dura l’ inserimento meglio è
Un altro luogo comune sul quale vorrei riflettere è: meno dura l’inserimento, meglio è.
Stanno spopolando format che promettono inserimenti in una manciata di giorni e mi è capitato di sentire da parte di varie educatrici come meno tempo si impieghi e più questo sia sinonimo di una buona riuscita dell’inserimento stesso.
La domanda che mi faccio e che faccio a chi legge è: quando si parla così, di quali bisogni si tiene conto?
E di chi?
Un bambino, specie se molto piccolo, ha bisogno di tempo per ambientarsi in uno spazio nuovo, con persone nuove che si prenderanno cura di lui, lontano da mamma e papà per tante ore.
Tendenzialmente più è piccolo più questo bisogno è presente.
Anche mamma e papà, soprattutto se è il primo figlio ad andare all’asilo, hanno lo stesso bisogno.
Affrettare i tempi potrebbe dare l’impressione di “togliersi un peso”, soprattutto quando i genitori lavorano e devono prendersi dei permessi, ma quello che ho visto lavorando per anni negli asili è che, molto spesso, i tempi non rispettati durante l’inserimento chiedono il conto dopo, ad esempio con regressioni (la pipì a letto è un classico), difficoltà nel sonno e difficoltà di alimentazione, scatti d’ira apparentemente non giustificati.
Per i bambini di età inferiore ai 3 anni che trascorrono molte ore al nido è stato dimostrato come ci possa essere un aumento dello stress nel caso in cui in cui il distacco dalla figura genitoriale non avvenga in modo graduale. (fonti 2 e 3)
In uno degli asili in cui mi sono trovata meglio a lavorare, i tempi dell’inserimento erano soggettivi e graduali, le educatrici si organizzavano al meglio per dedicare un rapporto 1:1 al nuovo arrivato e per supportare i genitori.
Invece di consigliare cose come: “se ti mostri felice quando lo lasci al nido starà meglio” (come se i bambini non sentissero le nostre reali emozioni), credo che l’ideale, per il benessere di tutti ma soprattutto del bambino, sia potersi permettere un’opzione simile… dandosi tutti il TEMPO, lo SPAZIO e soprattutto la FIDUCIA necessari.
3) L’asilo nido è INDISPENSABILE per socializzare
Uno dei miti più frequenti in merito al nido: è INDISPENSABILE per socializzare.
E qui mi trovo a fare una premessa.
Fino ad una ventina di anni fa l’asilo nido non c’era.
C’era la scuola materna, che poi ha preso il nome di scuola dell’infanzia, in cui i bambini andavano a partire dai 3 anni circa.
L’asilo nido nasce per venire incontro ai nuovi bisogni delle famiglie, in cui spesso entrambi i genitori lavorano e hanno pochi appoggi cui lasciare i figli, tenendo anche conto che spesso costa meno di una baby sitter fissa o di un’educatrice al proprio domicilio.
E’ un’agenzia educativa importante al giorno d’oggi, poiché dà alle famiglie la possibilità di affidare il proprio bambino alle cure di educatrici competenti, che conoscono i bisogni del bambino e che possono prendersene cura al meglio, avendo un progetto educativo alla base.
Il ruolo principale del nido, però, non è quello di favorire la socializzazione.
Innanzitutto ritengo sia importante fare una distinzione: non possiamo trattare un neonato di 6 mesi come un bimbo di 2 anni.
Hanno dei bisogni differenti e un sistema nervoso diversamente strutturato.
Molti studi hanno dimostrato che il bisogno primario dei bambini piccoli, almeno entro i 2 anni di età circa, non è quello di essere stimolati alla socializzazione con i pari (non sono orientati naturalmente a farlo) bensì quello di avere un adulto significativo alla volta cui rapportarsi, all’interno di una relazione che dia sicurezza, amore e faccia sentir loro protetti.
Prima di apprendere a socializzare con i pari hanno infatti bisogno che il loro sistema nervoso si sviluppi, così da costruire quelle connessioni neuronali legate alla protezione, e per questo c’è bisogno di tempo.
I primi veri e propri rapporti sociali con i compagni sembrano infatti svilupparsi dopo il primo anno di vita e, più o meno attorno ai 2 anni, il bambino inizierebbe ad apprendere comportamenti di tipo cooperativo, aumentando gli scambi interpersonali anche con figure diverse da mamma e papà.
Sia che si scelga comunque l’asilo nido sia che si scelgano altre opzioni, l’ideale sarebbe quindi andare nella direzione di ridurre la proporzione di adulti per ogni bambino, per cercare di avvicinarsi il più possibile ad un rapporto uno ad uno, almeno per i bimbi fino ai 2 anni circa di età.
Ad oggi per legge non è previsto un rapporto minimo ma è previsto un massimo che varia da regione a regione.
Per esempio nella regione Veneto per i lattanti, quindi i bambini dai 3 ai 15 mesi, viene definito come massimo un rapporto 1:6 – ovvero 1 adulto per 6 bimbi- con eventuale maggiorazione del 20% – alias 1 adulto per 8 neonati- mentre per i divezzi, ovvero bambini dai 24 ai 36 mesi, il rapporto è massimo di 1 adulto per 10 bambini. *
È un elemento di cui può essere importante tenere conto nell’eventuale scelta di un asilo nido.
*Grazie alle educatrici e amiche Chiara Bettella e Alessia Sorbillo per le delucidazioni in merito a questo punto
Fonti e spunti per approfondire:
1) Alberto Pellai – L’ educazione emotiva;
2) Love, J. M., Harrison, L., Sagi-Schwartz, A., Van I Jzendoorn, M. H., Ross, C., Ungerer, J. A., Raikes, H., Brady-Smith, C., Boller, K., Brooks-Gunn, J., Constantine, J., Kisker, E. E., Paulsell, D. and Chazan-Cohen, R. – Child Care Quality Matters: How Conclusions May Vary With Context. Child Development ;
3) Ahnert, L., Pinquart, M. and Lamb, M. E. Security of Children’s Relationships With Non parental Care Providers: A Meta-Analysis. Child Development ;
4) Poi la mamma torna – Alessandra Bortolotti;
5) La teoria dell’attaccamento. John Bowlby e la sua scuola – Jeremy Holmes
6) Manuale critico dell’asilo nido – Bondioli e Mantovani.
Dott.ssa Alice Righetti
info@datemifiducia.it
3409628159
Salve. Scrivo perche ho bisogno di un consiglio e non so proprio a chi rivolgermi.
Vivo in Germania con mio marito ed il mio bambino che ora ha quasi un anno.
Avendo urgente bisogno di tornare a lavorare, a 10 mesi ho portato per la prima volta il bambino da una Tagesmutter (ovvero una educatrice autorizzata che aveva solo un altro bambino in casa) per 6 ore al giorno. Il primo giorno abbiamo passato un ora insieme, poi siamo passate a due giorni di due ore ciascuno (senza di me), e, visto che il bambino non ha dato alcun segno di malumore, non ha pianto, non mi cercava nemmeno con lo sguardo dopo i primi minuti (ammetto, il primo giorno sono rimasta a spiare per qualche minuto), siamo partite con l orario pieno. Lo salutavo ogni mattina con un bacio sulla porta, tranquillamente, quando lo riprendevo mi veniva incontro sorridendo.
Dopo tre settimane ho dovuto togliere il bambino da questa educatrice perche abbiamo avuto dei contrasti (dovuti all orario, non a questioni inerenti il bambino).
Per le successive due settimane Dario e stato di nuovo sempre con me.
Dopo queste due settimane sono riuscita a trovare posto da un altra Tagesmutter, pero stavolta si tratta di due signore che gestiscono un totale di dieci bambini (Dario compreso). Lui e il piu piccolo.
Dopo i primi due-tre giorni Dario ha cominciato a piangere quando me ne vado, e a casa vuole stare sempre in braccio a me o a mio marito. Si aggrappa ai nostri vestiti in ogni occasione. La settimana scorsa ho dovuto un altra volta sospendere la sua frequenza al mini-nido perche la mia famiglia e venuta appositamente dall Italia solo per stare con lui. Anche in quell occasione il bambino si aggrappava forte a me e si lamentava quando lo lasciavo con i miei o con mia sorella, anche se loro mi hano sempre assicurato che la “crisi emotiva” dura cinque minuti, poi lui sta bene e si diverte.
La stessa cosa mi hanno detto anche le due educatrici del nido. Il bambino non vuole assolutamente staccarsi, pero poi gioca , mangia e dorme normalmente. Mi hanno anche mandato delle foto ed un video.
Io all inizio ero felice di mandarlo al nido: felice che potesse imparare il tedesco dalle educatrici (io con lui parlo in italiano, come consigliato per i bimbi blingue), felice che qualcuno potesse giocare con lui ed intrattenerlo mentre io devo lavorare/studiare, felice che possa sfogare le sue energie in un ambiente piu spazioso del nostro mini-appartamento (40 mq), con giocattoli diversi e con altri bambini. Ora pero comincio ad avere dei dubbi: forse ho forzato i suoi tempi, forse gli sto chiedendo troppo, forse aveva piü bisogno di me, ma perche e cambiato cosi da un mese all altro? Il problema e che ora non posso piu tornare indietro; non posso piü fare l ambientamento perche sarebbe come una regressione (cosi ho capito da quello che mi hanno detto le educatrici) non posso nemmeno ridurre le ore perche perche non sono disponibili posti “part time”. Inoltre io devo lavorare per forza, perche mio marito e impegnato con la formazione professioale e non guadagna abbastanza per mantenere tutti e tre. Per ora sembra che Dario stia benino, ma ho paura che le cose possano peggiorare. Lui ha un carattere forte, allegro ed estroverso, e se lo stessi rovinando, togliendogli fiducia? Ho il terrore di stare trascurando i suoi bisogni essenziali, di causargli una ferita profonda, di togliergli la fiducia che ha in me. O forse, al contrario, sono una mamma troppo sentimentale e rischio di tirare su un bimbo prepotente ed egocentrico se non divento un po piu decisa? Infondo lui e l unico bimbo in famiglia, forse il suo disagio e dovuto al fatto che deve imparare a dividere le attenzioni degli adulti con altri bimbi.
Vorrei solo sapere se il suo “cambiamento” e fisiologico (nella prima esperienza aveva meno di dieci 10 mesi, ora ne ha 11), se sono nella direzione giusta e come posso fare per supportarlo in questo processo senza squilibri, traendo il meglio dalla frequentazione precoce del nido.
La nostra societa ci obbliga a tagli relazionali sempre piu brutali, ma io vorrei minimizzare il piu possibile questo impatto sull anima di mio figlio.
La ringrazio tantissimo per la sua risposta.
Isabella
Buongiorno Isabella, grazie per il suo commento.
Per valutare la vostra situazione nello specifico, come comprenderà, avrei bisogno di dedicarle un tempo e uno spazio consoni, cosa che è fattibile in una consulenza educativa, non tramite il mezzo dei messaggi.
A livello generale, la invito a prendere in considerazione il feedback delle nuove figure educative, che dicono che la difficoltà di suo figlio ad allontanarsi da lei abbia una durata di pochi minuti, con una successiva ripresa del gioco in uno stato emotivo che riferiscono essere di tranquillità.
A livello generale, trovo che sia un segnale di cui tenere conto.
Quando si tratta di ambientamento al nido non è solo importante prendere in considerazione i bisogni e le difficoltà del bambino ma anche i bisogni e le difficoltà dei genitori.
Se ci sono degli elementi che “non tornano”, potrebbe essere una buona idea prenderli in considerazione più che aspettare che il tempo passi e vedere come va.
Qualora lo desiderasse, affinché possa aiutarla a portare chiarezza in merito alla situazione di cui mi parla in questo commento, spostandoci dal livello generale alle peculiarità dei vostri vissuti, può prenotare una consulenza educativa con me, o di persona o via Skype, scrivendo alla mail info@datemifiducia.it
Le auguro una buona giornata
Dott.ssa Alice Righetti